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Folk Bulletin

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IN MEMORIA DI ROBERTO: SCRIVERE E PENSARE IL FOLK IN ITALIA

29 Aprile 2025 di Redazione-FB Lascia un commento

di Tiziano Menduto

E pensare che sarebbe così semplice, immediato, naturale dividere la musica fra due categorie, rigide e impenetrabili fra loro: la buona e la cattiva. Con l’impegno solenne, che sottoscriviamo con rinnovato entusiasmo, di proseguire a ignorare la seconda a tutto vantaggio della prima.

Lo scrive Roberto Sacchi in un editoriale che sottolinea, l’aveva fatto più di una volta su Folk Bulletin, l’importanza di guardare alla sostanza della musica, andando oltre le etichette classiche e i confini artificiali, verso una qualità e uno spessore culturale mai superficiali.
Un pensiero, il suo, sempre diretto, sincero, mai banale. Un pensiero che ha portato questo giornale, da lui guidato per moltissimi anni, a evolversi da un semplice ciclostilato di un’associazione in una delle pubblicazioni più autorevoli e longeve nel panorama della musica folk.
Roberto ci ha lasciati pochi giorni fa, il 19 aprile 2025, ed è importante ricordarne il lavoro e l’eredità che lascia a tutti coloro che continuano oggi ad occuparsi di musica, danza e cultura tradizionale.

L’incontro con Paolo Nuti, l’attività giornalistica e musicale
La storia di Roberto Sacchi nel mondo del folk inizia alla fine degli anni Settanta, quando si avvicina alla musica anglo-scoto-irlandese grazie all’iniziativa di Paolo Nuti, fondatore del Folk Studio Group di Saronno. Quest’incontro è fulminante e la sua passione, che non lo abbandonerà mai e che estenderà ben oltre i confini anglofoni, si sviluppa in due diverse attività: quella di musicista e quella di giornalista.

Per quanto riguarda l’attività giornalistica, la vera svolta nella vita di Roberto avviene con la prematura scomparsa di Paolo Nuti e con il suo lavoro per uno strumento di informazione (Folk Bulletin) nato all’interno del Folk Studio Group.

Parallelamente all’attività giornalistica, Roberto Sacchi porta avanti quella di musicista, come tastierista e fisarmonicista.
Dopo una prima esperienza con gli Happy Sound, gruppo di folk inglese, scozzese e irlandese, arriva la sua partecipazione a uno dei gruppi più interessanti del folk revival italiano, I Suonatori delle Quattro Province con cui Roberto suona dal 1989 al 1996.
Successivamente Roberto collabora con Fabrizio Poggi, bluesman di fama internazionale, prima con i Turututela poi con i Chicken Mambo. Nel 2011, purtroppo, per motivi di salute, Roberto abbandona l’attività di musicista.

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Folk Bulletin: da ciclostilato a punto di riferimento del folk italiano
Non è usuale raccontare la storia di una rivista sulla rivista stessa, ma può essere utile per rimarcare l’importanza che Roberto Sacchi ha avuto per l’evoluzione di Folk Bulletin e, indirettamente, per tutti gli appassionati del mondo folk in Italia.

Fondato nel 1980 da Paolo Nuti, Folk Bulletin era inizialmente un semplice ciclostilato spedito una volta al mese a tutti i soci, contenente notizie sulla vita interna all’associazione e alcune recensioni discografiche o articoli di taglio culturale legati alle tradizioni anglo-scoto-irlandesi.
Con il passare del tempo, la pubblicazione si evolve, ampliando i propri orizzonti. Si fonde con lo STRAbollettino (periodico che raccoglieva e diffondeva notizie di eventi, concerti e corsi) e cambia il proprio nome in FB-Folk Bulletin. È soprattutto negli anni ’90, dopo questa trasformazione, che Folk Bulletin si afferma definitivamente su scala nazionale e internazionale come mensile di riferimento del folk in Italia.

Sotto la direzione di Roberto Sacchi, la rivista assume l’aspetto contenutistico e grafico che la caratterizzerà fino alla cessazione della pubblicazione cartacea, un aspetto basato su una suddivisione in rubriche: dall’editoriale agli argomenti di approfondimento, dalle cronache di concerti e festival alle recensioni di dischi e libri, dalle notizie flash dall’Italia e dal mondo, alle varie rubriche su vari mondi e tradizioni.

In un articolo recentemente apparso su Bloogfolk, Marco La Viola, che per molti anni ha condiviso con me la vicedirezione della rivista, scrive che Roberto ha guidato Folk Bulletin con costanza e dedizione, dandogli un carattere riconoscibile, ma evitando nel contempo che diventasse una rivista a propria immagine, o troppo concentrata su pochi temi o sulle musiche di moda.

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Il mondo folk in una visione aperta, inclusiva e critica
Ciò che ha caratterizzato il suo approccio alla musica folk è stata una visione ampia, inclusiva, mai dogmatica.
Questa apertura mentale e culturale si è riflessa nella linea editoriale della rivista, che nel corso degli anni ha ampliato i propri orizzonti per abbracciare non solo il folk tradizionale, ma anche il blues, la canzone d’autore, il country, la world music e varie sperimentazioni, senza però mai perdere di vista le radici e gli aspetti più tradizionali e più autentici di ogni cultura.

In un’intervista rilasciata a Salvatore Esposito per Blogfoolk, alla domanda sull’importanza della riscoperta delle radici, Sacchi rispondeva: Se c’è una cosa che dà fastidio al potere è che le persone studino la storia e sappiano trovare nel passato le risposte che il presente non può dare. Nessuno può scrivere una storia del rock senza parlare di blues, nessuno può parlare di blues senza citare l’Africa, nessuno può spiegare l’Africa senza sapere cosa sono la deriva dei continenti e le migrazioni primordiali dei popoli. Tutto è concatenato, tutto è conseguenza di qualcosa che c’è stato prima. La riscoperta delle radici, oggi come ieri, è importante perché spiega il presente, prevede il futuro e rende coscienti gli individui e le masse, impedendo loro di cadere nel tranello, amato invece dal potere, che la casualità o la necessità immediata siano il motore di qualcosa.
Questo pensiero rivela una concezione della musica folk non solo come espressione artistica ma anche come strumento di consapevolezza sociale e culturale. Non a caso, come sottolineava lo stesso Sacchi: Pur non parlando quasi mai di politica, Folk Bulletin è stata spesso considerata una testata politica, nel bene e nel male. E ciò mi onora.

Roberto Sacchi non ha poi mai nascosto il suo scetticismo nei confronti di certi eventi che, a suo avviso, rischiavano di snaturare l’essenza più intima della musica popolare.
Ad esempio in merito a festival come La Notte della Taranta, dichiarava che il folk non è fatto per eventi oceanici. Non è fatto per riempire gli stadi olimpici. Ha in sé una delicatezza intrinseca, una storia, dei valori che mal si conciliano con le masse urlanti. Per lui, il valore della musica folk risiedeva nella sua autenticità, nella sua capacità di raccontare storie e tramandare tradizioni, nella sua dimensione comunitaria e nel rapporto diretto con il pubblico.

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Tuttavia, allo stesso tempo, Roberto ha sempre difeso anche la vitalità e la contemporaneità del folk, opponendosi a chi lo voleva relegare ad una mera replica nostalgica del passato.
In un suo editoriale (The Folk Goes On) scriveva: E che il folk in Italia sia oggi vivo e vitale non è dimostrato soltanto dall’esistenza di gruppi altamente professionali, […] ma anche dalla crescita qualitativa dei gruppi emergenti che ogni anno partecipano a concorsi come Folkcontest o Suonare a Folkest […] Operare intellettualmente per riportare il folk indietro di quarant’anni, evocando aie mai esistite e buoni selvaggi che suonano male e cantano peggio, è un’operazione che rasenta il reato.

Folk Bulletin: il valore della comunicazione e della partecipazione
Roberto non era solo un acuto osservatore dei fenomeni culturali contemporanei e un fine critico (basti pensare alla rubrica acido folklorico), era anche un ottimo comunicatore.

In un suo editoriale, riflettendo sul proliferare dei corsi di scrittura, osservava: Scrivere è un mezzo, uno strumento, è impadronirsi di un codice per comunicare; saper scrivere è sì una tecnica, ma la sua applicazione (la scrittura) non vive in sé e per sé, ma il suo valore è strettamente connesso ai suoi contenuti. E continuava: se proprio dovete scrivere, fatelo cercando di preoccuparvi un po’ più del cosa e un po’ meno del come. E l’attenzione ai contenuti, presentandoli con un’ironia che invitava alla lettura (ricordo un editoriale curioso che si intitolava Il minestrone e la teoria quantistica) e con il coraggio di affrontare anche temi divisivi, era costante nella sua scrittura.

Tuttavia, la scrittura di Roberto, come invece avviene in molti media, non era mai una distanza.
Un suo editoriale del 2004 ricordava lo spirito con cui il giornale era pensato e confezionato: uno spirito militante sincero, uno spirito di servizio per tutti quelli che operano nel nostro settore da appassionati storici o dell’ultimo minuto. Ci teneva a quel senso di collettività, di voglia di stare insieme, di partecipare che si respirava sul giornale e che si concretizzava anche con la sua presenza diretta, con i banchetti del giornale, in festival, concerti e incontri.

Il movimento folk in Italia e l’eredità di Roberto Sacchi
Come dimostrato anche dalla dedica a Roberto presente nel libro Storie folk – Il folk revival nell’Italia settentrionale e centrale raccontato dai protagonisti, curato da Maurizio Berselli, il suo lavoro è stato importante per l’evoluzione del movimento del folk revival in Italia. Attraverso la sua attività di giornalista e direttore di Folk Bulletin, Roberto ha contribuito in modo determinante alla diffusione e alla valorizzazione della musica popolare in Italia, creando un punto di riferimento per musicisti, appassionati e operatori del settore.

Sempre su Bloogfolk, Marco La Viola scrive: A FB-Folk Bulletin hanno guardato molti di coloro che nel tempo hanno avviato nuove iniziative editoriali nell’ambito delle musiche tradizionali, anche solo per trovare formule diverse per raccontare la folk music. E il riconoscimento del valore del suo lavoro è arrivato anche con il Premio alla Realtà Culturale che nel 2010 il Premio Loano per la Musica Tradizionale Italiana ha conferito a FB-Folk Bulletin.

Forse l’eredità più importante di Roberto Sacchi risiede, tuttavia, nella sua capacità e ostinazione nel costruire, con il giornale, una grande rete di contatti, collaborazioni, scambi tra musicisti, ricercatori, danzatori, appassionati. Una rete fondamentale per un movimento che aveva difficoltà a trovare adeguati spazi, risorse e riconoscimenti.
In fondo, come diceva nel 1999 Roberto in un editoriale, la principale differenza che esiste fra FB e le altre testate periodiche a diffusione nazionale che si occupano di musica etnica, tradizionale o affini – in quegli anni qualche rivista in edicola, che parlasse anche di folk, esisteva – sta nel fatto che FB non ha alcun problema a dedicare spazio a fatti e persone per i quali altrove si fatica a trovarne.

La sua eredità continua a vivere non solo nelle pagine di Folk Bulletin, ma anche in tutte le realtà editoriali e le esperienze che si sono sviluppate grazie al lavoro e alla formazione che il giornale ha permesso negli anni.

Grazie, Roberto, per aver contribuito a diffondere conoscenza e interesse per il mondo e la cultura tradizionale. La tua acuta penna, la tua capacità di intrecciare reti, la tua passione per la musica di qualità continueranno a ispirare le nuove generazioni di appassionati di folk. E, come dicevi tu, The Folk Goes On.

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Folk Bulletin

Fondato nel 1980 da Paolo Nuti e pubblicato regolarmente a partire dal 1980 (anche se il suo primo numero reca la data novembre 1979) Folk Bulletin è la più consolidata fra le testate italiane che si occupano di folk, di spettacolo popolare e di culture tradizionali, e una delle più storiche del mondo. Muove i suoi primi passi per iniziativa di Gian Paolo Nuti come circolare interna di un gruppo di appassionati riuniti in associazione, il Folk Studio Group di Saronno, svolgendo questa preziosa funzione per alcuni anni. È comunque negli anni Novanta, dopo la fusione con lo STRAbollettino, altra testata mensile attiva dal 1984, che Folk Bulletin si afferma definitivamente su scala nazionale e internazionale come il mensile del folk in Italia. Per saperne di più…

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