di J.d.M.
IL nostro vecchio amico Shahnourh Varinag Aznavourian se n’è andato sui pascoli celesti da qualche anno, forse quei pascoli vicini al suo Ararat. Lassù forse non gli è giunto il clamore delle baruffe che chiozzotte non sono, ma bensì veneziane, da quella triste Venezi(a).
Com’è triste Venezia
Se nella barca c’è
Soltanto un gondoliere
Che guarda verso te
E non ti chiede niente
Perché negli occhi tuoi
E dentro la tua mente
C’è soltanto Lei.
Il nostro amico armeno è universalmente noto con il nome di Charles Aznaour.
Ed ebbe modo di dire, anche:
Penso che un artista non debba iniziare troppo presto a legare il suo nome, la sua immagine a qualche causa da sostenere pubblicamente. E’ necessario che la propria carriera sia ben avviata per poter dedicare più tempo a progetti concreti, per seguirli da vicino.
Disse anche:
La Svizzera è un’oasi di pace. Tutto è più calmo, più pudico, anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi e viceversa
Ma non c’entra molto con le nostre riflessioni.

Sto invece giocherellando in rete e mi capita per le mani uno scritto apparso sul Foglio Quotidiano, che , vi confesso, non frequento abitualmente.
Se lo vuoi cercare c’è sempre un precedente che ci aspetta in biblioteca – scrive Salvatore Merlo su Il Foglio Quotidiano. Paolo Isotta, nel suo Manuale di decomposizione, descrisse così la macchina del discredito: In Italia il massacro non ha mai bisogno di un plotone: bastano le buone maniere. Si dice ‘non all’altezza’ e pare una perizia tecnica. E’ un modo educato per dire ‘non dei nostri. Isotta, il grande musicologo, che non era di sinistra, nel 1976 fu assunto dal Corriere della Sera. E venne accolto da una raccolta di firme promossa da Giulia Maria Crespi che chiedeva di revocarne l’assunzione. Cambiano gli strumenti, – chiosa il nostro Merlo – non la partitura. Quello che allora fu un massacro d’appartenenza, oggi è un massacro di percezione. Il cambio di partitura risale a un anno fa, quando la Venezi accettò di salire sul palco di Atreju. Parlava di armonia, non di partiti, ma bastava la cornice: la tenda verde, il logo di Fratelli d’Italia, la foto con Giorgia Meloni. E’ bastato quello. Da quel momento la musica è sparita, sostituita dalle accuse. “Televisiva”. “Politicizzata”. “Fuori luogo”. “Inadeguata”. “Priva di titoli”. A poco a poco. Da allora ogni gesto è diventato sospetto, ogni sorriso un segno politico. E’ bastato che fosse percepita “di destra” perché il talento si rovesciasse in colpa.
Non potendo attaccarla per trasparenza o correttezza, l’hanno colpita sul piano più soggettivo: la qualità del gesto, l’interpretazione, il gusto. E, quando non bastava, sull’apparenza. La personalizzazione è la fase più sporca. Si passa dall’arte al corpo: la voce si sposta dal gesto musicale all’aspetto, dal curriculum all’abito. La femminilità diventa indizio: il trucco, il taglio di capelli, i vestiti, le gambe nude. L’estetica, che in un sistema sano sarebbe irrilevante, diventa arma retorica. Non si chiede più “Cosa hai suonato?” ma “Come ti presenti?”. E la risposta pubblica è spietata: quando una donna non si nasconde, la si punisce per aver scelto di mostrarsi. Poi arriva la tecnicizzazione: i dossier, le richieste di verifiche, le note sul curriculum. Infine l’istituzionalizzazione: inviti che saltano, collaborazioni che si raffreddano, nomine che vengono rimesse in discussione.
Beh… che dire… considerati i malvezzi della sinistra italiana potrebbe anche starci tutto ciò!
MA… MA… MA…
Facciamo un passo indietro, noi che pretendiamo d’i parlar ‘orgomentar di musica!
Qual è il curriculum di Beatrice Venezi? Ha senso annoverarla tra i punti di riferimento del podio di ultima generazione? Come pianista s’è diplomata al Conservatorio di Milano, lasciando ben poche tracce, con la vincita di qualche piccolo concorso tra il 2005 e il 2006. Come direttore, nonostante non sia stata ammessa al biennio di specializzazione in direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano, fuori dall’Italia non è particolarmente conosciuta né richiesta. La sua carriera risulta priva di ingaggi di peso e collaborazioni con enti e orchestre di alto livello. Oggi, i direttori uomini – leggiamo in rete, citando La Repubblica – sono seicento contro ventuno donne e in Italia le bacchette rosa sono ancora delle eccezioni, ma questo non giustifica la continua esposizione di Venezi. Inoltre, l’affermazione di essere la più giovane bacchetta d’Europa è facilmente smentibile, come dimostra la collega Nil Venditti, già impegnatissima a vent’anni. Le orchestre italiane dirette da Beatrice Venezi, dove ha maggiore spazio, sono istituzioni locali che svolgono un lavoro prezioso, ma non possono essere considerate di spicco a livello nazionale, e ancor meno internazionale. Se ha collaborato con i Pomeriggi, l’Orchestra di Padova e del Veneto, la Filarmonica del Teatro Regio di Torino, e l’Orchestra della Fenice di Venezia, è avvenuto in progetti secondari, concerti di Natale o eventi privati sponsorizzati. Nel dicembre 2021 ha inciso per Warner, con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, il suo secondo album Heroins, che raccoglie Preludi, Sinfonie, Intermezzi e Suite tratte da opere con figure femminili come protagoniste. Gli articoli e le recensioni su quotidiani e riviste sono firmati da giornalisti di musica pop o di costume, mentre i critici di classica hanno preferito passar oltre.
All’estero – ci soccore Le Salon Musical – nel suo curriculum si legge che è affermata a livello internazionale e che si esibisce nei teatri di tutto il mondo. Ma non basta scriverlo, bisogna portare anche le prove di ciò che si sostiene, Santo Dio!
Questo prestigio non trova conferme nelle ricerche online, né nelle recensioni di critici musicali autorevoli. È stata assistente direttore dell’Armenian State Youth Symphony Orchestra, un progetto del 2005, ammirevole ma non di valore eccelso. Ha diretto l’Orchestra della Fondazione Bulgaria Classic, l’Orchestra Filarmonica Nazionale di Odessa, e l’Orchestra e coro del Teatro Bolshoij, quello di Minsk, però!. L’ultimo incarico è stata la direzione di Madama Butterfly all’Opéra-Théâtre de Metz, in Francia (tre recite sino al 6 ottobre). Le grandi formazioni mancano clamorosamente all’appello.
E qui il vostro J. d. M. ha un piccolo guizzo, permetteteglielo, su…
Ma chi è Salvatore Merlo?
La rete onnisciente ci dice che, nato a Milano nel 1982, figlio di giornalista, è vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico Galileo a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori Fummo giovani soltanto allora, la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.
Ecco… giornalista parlamentare!
Noi non ci permetteremmo mai, non sapendone una cippa, di argomentare sulle segrete cose del cangiante italico parlamentarismo.
Ma perché lui, come molti altri, che ugualmente non sa una cippa del mondo musicale, continua a sproloquiare sull’argomento.
Ah… l’Italie… comme est triste Venise…
Caro il mio Charles, com’è triste Venezi(a).
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