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1933-2024 JOHN MAYAL

7 Agosto 2024 di Redazione-FB Lascia un commento

di Gianni Giusti

Addirittura osteggiato da certi puristi secondo i quali il blues può essere solo nero, il testardo e diafano albionico John Mayall continuò imperterrito dagli anni Sessanta a riproporre l’ennesimo intelligente album con l’ennesima intelligente reincarnazione dei suoi Bluesbreakers, con l’ennesimo nuovo giovanissimo talento al suo interno. Clapton, Page, Beck… giusto per dire!

Prima band nel 1962, i Powerhouse Four, sula strada tracciata da Pinetop Perkins e Sonny Boy Williamson, anche se la sua più grande influenza, fu J.B Lenoir. Diventò uno degli ospiti fissi delle serate al Marquee Moon di Londra coi suoi Bluesbreakers, un’orchestra in continuo cambiamento, capace di produrre musica da far invidia ai colleghi d’Oltreoceano.

Bb With Clapton

Eric Clapton con lui si cimentò con il blues di Chicago in salsa un po’ rock; Mick Taylor esordì da adolescente in Crusade (1967), per poi partecipare al magnifico concept-album Blues from Laurel Canyon; Peter Green con Hard Road, sempre nel 1967; Freddy Robinson nello straordinario Jazz Blues Fusion del1972, a mio modesto parare il suo capolavoro; Jon Mark con il suo fingerstyle nell’incantevole Empty Rooms; e poi una lista infinita, da Coco Montoya a Buddy Whittington, Rocky Athas, Joe Walsh, Andy Fairweather-Low, Carolyne Wonderland. Questo per limitarsi a quelli che ufficialmente han fatto parte dei Bluesbreakers. Poi dovremmo aggiungerci i vari ospiti, come Steve Cropper, Steve Miller, Joe Bonamassa, Jeff Healy, Billy Gibbons, Walter Trout.
Ma John Mayall, cantante e soprattutto armonicista eccelso, ma anche tastierista e chitarrista, attraverso i Bluesbreakers ha dato spazio anche ad altri strumentisti, oltre i chitarristi: come non pensare ai sassofonisti Chris Mercer e Dick-Heckstall Smith, a un batterista come Jon Hiseman nello sperimentale Bare Wires del 1968. Per non dire dei bassisti: Jack Bruce, Tony Reeves, John Mc Vie, Greg Rzab, dei batteristi Mick Fleetwood, Ainsley Dunbar, Hughie Flint, Colin Allen. Punto!

Laurel Canyon

Mayall ha shackerato skiffle e folk che inondavano i club di Londra e Manchester in un sound più crudo e moderno, con un approccio più spregiudicato al blues, sapendo anche rinunciare alla batteria, proprio negli anni in cui andava di moda il power-trio. Pur senza rinunciare alle suggestioni e ai colori di certa psichedelia californiana.
Sono gli anni di Blues from Laurel Canyon ed Empty Rooms, con Larry Taylor dei Canned Heat, band amatissima da Mayall e il flauto di Johnny Almond e poi l’altro grande live al Fillmore East The Turning Point. Poi l’improvvisa svolta tutta elettrica con una super-band tutta americana con il chitarrista dei Canned Heat, Harvey Mandel, il funambolico violinista Sugan Cane Harris: Usa Union (1970), poco prima del doppio album del 1971 Back to The Roots, registrato tra Los Angeles (dove Mayall ormai viveva) e Londra, con cui assieme ai gli amici di sempre, Clapton e Taylor e il batterista  Keef Hartley, chiude un’epoca memorabile. 

Dopo alcuni anni nell’arco dei quali molti avevano ipotizzato un suo declino, nel 1984 John Mayall riporta in auge i Bluesbreakers cper una serie di disco di buon livello tra i quali Padlock on the Blues (1999)  con John Lee Hooker, Along for The Ride del 2001 accreditato a John Mayall and Friends e il concerto del 19 luglio 2003 alla Liverpool Arena, ripreso anche in DVD, dove festeggia i suoi settant’anni con i suoi alunni Clapton, Chris Barber, Mick Taylor, oltre all’immancabile Buddy Whittington e all’organista Tom Canning.

Padlockon The Blues

Una bella panoramica di quegli anni è raccolta nel box del 2006 di 5CD della Eagle Records, Essentially John Mayall, mentre John Mayall So Many Roads è una bella antologia della Universal del 2010 che copre il decennio d’oro 1964-1974.

Nell’ultimo periodo è consigliabile Find Way To Care (2015), Talk About That dell’anno seguente e Nobody Told Me (2019) dove sono presenti Bonamassa, Larry Mc Cray, Todd Rundgren, Steven Van Zandt e Carolyn Wonderland.

E sempre, come lo vedemmo a Udine a metà anni Duemila, nel corso di una memorabile serata di Folkest al castello di Udine, a vendere dischi, merchandise e firmare autografi al banhetto a ogni fine concerto.

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