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Materdomini 2012

12 Settembre 2012 di Redazione-FB Lascia un commento

“…la danza quando non è passione è gioco, quando non cerca dona. E gli occhi continuavano a riempirsi di tanta gaiezza che quasi mai si incontra che quasi nessuno riesce a regalare. Ma Massimo e Maurizio erano li e donavano e non lo sapevano.” ( Luciana Cerreta )

Esistono cose e momenti che incontri per caso e che sai già rimarranno a lungo in un angolo speciale dei ricordi. Ci sono persone che senza saperlo regalano attimi che nessun altro riuscirebbe a fare nella stessa maniera. Era un caldo che non faceva respirare, era una serata di quelle che vorresti stare a casa a sfogliare libri e a goderti il niente e il nessuno ma ero li, tra poca gente  che sventolava ventagli, tra odore di pane abbrustolito e di cucina della festa e della strada.

Sono arrivati, era in due, ognuno curvato dagli anni e con le rughe arse dal sole dei campi, rughe profonde, solchi non solo sulla pelle. Zi’ Giannino e zi’ Ciccio sono arrivati. Zi’ Giannino e zi’ Ciccio che vanno insieme per le feste che vanno insieme a salutare il mondo che  forse non riconoscono che forse non lo vorrebbero così ma loro vanno e danno ancora, quello che sanno.

La gente continuava ad arrivare e il caldo a non dar tregua. L’ho visto allontanarsi da solo, cercare un angolo vuoto, chiamare qualcuno e dirgli di portare un tamburo; l’ho visto sedersi e schiarirsi la voce. Il tamburo è stato battuto, il canto è iniziato per se stesso non per il pubblico. Zi’ Giannino il vecchio con gli occhi vispi, il vecchio dal petto gonfio di canto,  cantava e sorrideva con quella sua bocca senza più  denti ma che ancora  comunica la passione a dice di vita. E zi’ Giannino ha chiamato gli amici: zi’ Ciccio e Simone Carotenuto.  Ed è stata un’ora intera, ed è stata l’ora in cui il ragazzo che batteva forte il tamburo era li e aveva i pensieri fissi,  aveva  la voglia che tutto il mondo lo vedesse, perché non sempre perché non tutti. I suoi occhi erano aperti sul quadro di cui era parte e le labbra nervose che ogni tanto mordeva, e chissà quali pensieri e chissà quali desideri.  Si guardavano e si cantavano e si passavano la bottiglia di vino buono  e mentre il vino scendeva zi’ Giannino chiudeva gli occhi che il vino è come il canto bisogna sentirlo, bisogna amarlo.  Zi’ Ciccio con  il suo corpo esile e Simone con la sua voce forte, si passavano i pensieri, si guardavano negli  occhi si accompagnavano per mano come tre amici che guardano il mondo e sanno che non deve essere preso troppo sul serio, e cantavano alla figliola che si chiama Rosa e ammiccavano alla scarola nata in mezzo al mare e a chi vorrebbe sposarsi nel Cilento e non importa se non ha niente basta che la fontana, quella si, sia di acqua fresca. La gente veniva e fotografava e riprendeva sperando di potersi portare a casa quel momento magico, quell’unico attimo di festa in cui non era il chiasso ma era la storia. Erano tre ed erano un solo canto; in quel momento erano loro la festa.

Il canto è finito e ho camminato e non sapevo che avrei incontrato ancora, che quella era la sera e la feste delle meraviglie. Ho visto da lontano nastrini che volavano che apparivano e che scomparivano e intorno gente che guardava, che apriva gli occhi, che sperava di poterlo fare ma sapeva che difficilmente sarebbe stato uguale, ho chinato da una parte  la testa e ho visto e ho sorriso e ho avuto voglia  che quel momento durasse il più a lungo possibile. Erano Massimo de Maria e Maurizio Graziano erano soli in mezzo ad una rota, la riempivano la impreziosivano. La meravigliavano. Erano loro i soli, loro la danza che dopo il canto chiude il cerchio e sai che può bastare che non serve altro. Era una danza ma era anche un gioco, era un rincorrersi erano gambe che guardavi e non capivi, erano pensieri che non vedevi ma che sentivi. Massimo e Maurizio che raccontavano e vivevano  la danza di Pimonte, che non tutti  e per fortuna. I corpi snelli e sinuosi erano sudati, si inchinavano e si cercavano, si sfuggivano e si ritrovavano, era un cerchio nell’aria con le braccia che si sfioravano e si incrociavano e tutti  e nessuno voleva distogliere lo sguardo. Osservavo e sapevo che mai sarebbe stato così che loro erano i soli perché la danza quando non è passione è gioco, quando non cerca dona. E gli occhi continuavano a riempirsi di tanta gaiezza che quasi mai si incontra che quasi nessuno riesce a regalare. Ma Massimo e Maurizio erano li e donavano e non lo sapevano.

Il caldo aveva smesso, la folla aumentata e anche le voci e l’eco di altri tamburi e di altre anime e vecchi mai stanchi e uomini con la pancia sporgente chiusa e stretta nella camicia della festa, nella voglia di incontrare e chiacchierare.  Il tempo passava e gli amici sorridevano. E poi e poi ancora non era finita, come non accade mai, questo agosto e questa sua sera di festa  erano prodighi di attimi da incorniciare. Ancora uno ancora un incanto. I piedi erano nudi, sporchi di asfalto leggeri e sapienti. Aveva i riccioli tenuti fermi da un cerchietto di plastica, occhi piccoli che guardano lontano, che raccontano e che non dicono tutto quello che
hanno da dire, perché spesso anche i pensieri hanno i loro segreti e non sempre si possono mostrare. La testa era china, ma mentre il corpo girava mentre il corpo era lento, si alzava e guardava e pregava  non necessariamente un dio, forse un pensiero forse un desiderio. Non potevo non fermare il tempo che avrebbe continuato a girare ma che sapevo sarebbe stato fermo per me e per quanti erano lì, per loro e per me, per noi che possiamo solo guardare e rubare ogni attimo, ogni sorriso, ogni gesto.  Biagio  de  Prisco continuava a danzare come mai avevo visto, come solo Maurizio, ancora lui, poteva accompagnarlo.  Non era solo danza, era passione ma di quelle lente che non hanno fretta, anche se poi in fondo tutte le passioni ne hanno ma qui era racconto era quello che molti cercano di dire ma che non riusciranno mai a raccontare perché non sono e perché non hanno. Maurizio e Biagio che erano lenti nelle movenze sapevano di essere lì dove tutti avrebbero voluto essere eppure erano lontano, erano in un mondo che solo loro potevano abitare fatto di silenzi e di grandi vedute, di sguardi che dicono e di sorrisi che vorrebbero. È strano come a volte basti un solo momento bastino dei piedi scalzi e lo sguardo sapiente, Maurizio e Biagio, Biagio il cantore che unisce le generazioni, nel ballo si accompagna a Maurizio il danzatore che appartiene ai pensieri a quelli buoni a quelli che vorresti essere, che riesce ad essere mille rimanendo sempre se stesso, che racconta la passione, la forza la grazia ed ora so anche la dolcezza con  una danza che era una carezza. E mentre il mondo di Materdomini continuava a sventagliare fresco e pensieri vacui, il trittico si è chiuso, Maurizio e Biagio ventilavano passione. Materdomini è stata questo, tre momenti che mai e che sempre resteranno in quell’angolo e gli occhi sorridono e ringraziano di esserci stati.

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