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L’ARPA DELL’ANIMA: VINCENZO ZITELLO SI RACCONTA A FOLK BULLETIN

23 Marzo 2017 di Redazione-FB 2 commenti

a cura di Andrea Del Favero

F.B. – Una struttura complessa per un album sontuoso: al giorno d’oggi pubblicare un album doppio come questo rappresenta quasi una sfida.

V.Z. – Si, la sfida sta nella voglia di credere che la gente abbia voglia di trovare due ore per ascoltare e risuonare sulle note di Metamorphose XII. La pubblicazione però è conseguenziale al mio desiderio un po’ visionario della musica, gli eroi musicisti che amo emulare o meglio che prendo ad esempio: sono musicisti Folk che amano la fantascienza, oppure compositori classici  che vivono su montagne inaccessibili e fanno musica elettronica. Ho voluto sottolineare  come il contrario sia energia in movimento, tendere l’arco degli opposti, per generare  idee e modelli emozionali o matematici sonori applicabili alla fantasia, la sfida sta sempre nella freccia del  messaggio.

F.B. – Ci racconti un po’ nei dettagli com’è nata quest’idea e i problemi che hai incontrato lungo il cammino?

V.Z. – Nasce dalla volontà di fare un album suonabile dal vivo; alcuni brani sono già entrati nel repertorio del nuovo concerto 2017, danno la chiave per capire tutto il progetto e il perché di due CD. Ho attinto e trasmutato la  mia parte gotica e celtica per poi congiungerla con le luci e le impressioni mediterranee, i brani sono  capitoli di uno stesso libro, che raccontano episodi della mia vita, quella di contatto, con persone luoghi, atmosfere e impalpabili situazioni che ho vissuto realmente e che volevo condividere, perchè so che possono essere comuni. Cosi ho esposto il lato intimo attraverso il disco di sola arpa, per poi arrivare a una metamorfosi orchestrale e lì si trova un altro viaggio emotivo e sonoro. Durante le fasi di registrazione  tutto e filato liscio, sia nei rapporti umani che nella parte musicale, tutte le registrazioni e la scrittura hanno avuto un corso felice e quasi automatico. Mi veniva in mente di chiamare un musicista, o mi serviva uno strumento, e casualmente lo incontravo o mi telefonava: era quasi come se fosse destinato a partecipare al CD. E’ stato bello incontrare di nuovo  alcuni amici musicisti che non vedevo da tempo e aver potuto collaborare con molti nuovi.

F.B. – Ci sono molti strumenti nel CD arrangiato: alcuni forse inusuali nel tuo percorso musicale?

V.Z. – I più  inusuali  sono gli ottoni (trombone, tromba, sax tenore e baritono), piuttosto rari nella mia musica. L’ultima volta si era trattato di un sax soprano suonato dal grande Claudio Pascoli in Kerygma nel lontano 1989, e cosa strana, è lo stesso musicista ad aver suonato i sax in MetamorphoseXII, vorrei citare altri musicisti che hanno partecipato, la fisarmonica a bottoni di Flaviano Braga, la cornamusa elettronica di Hevia, la ciaramella di Carlo Bava, la marimba contrabbassa suonata da Paolo Pasqualin, la tromba di Andrea Paroldi e il trombone tenore e il sakbut, antico trombone a tiro rinascimentale suonato da Gino Avellino, la ghironda e organetto da Rinaldo Doro, la ciaccola e la musette di Daniele Bicego, il fiddle di Milo Molteni, l’organo portativo di Giovanni Galfetti, le viole da gamba di Guido Ponzini, Vic Vergeat alla chitarra elettrica, Riccardo Tesi all’organetto, Livio Gianola alla chitarra classica a 8 corde, Mario Arcari all’oboe, Serena Costernaro al violoncello, Walter Keiser alla batteria e alle percussioni, Alfio Costa all’Hammond, Fulvio Renzi al violino e viola. Infine io ho suonato i flauti, il santoor iraniano, il violoncello, la viola, il salterio ad arco e le arpe celtica e clarsach, ho scritto tutte le parti d’arrangiamento che sono state mixate e masterizzate da Stefano Melone.

F.B. – Da tempo hai ormai un tuo studio di registrazione personale e, soprattutto, un tuo modus operandi molto preciso quando si tratta di affrontare la produzione di un CD. Ci spieghi un po’ come lavori e soprattutto che attrezzature tecniche usi?

V.Z. – Ho imparato che la libertà sta nell’avere un proprio studio di registrazione e oggi la tecnologia lo permette, sei libero di usarlo quando l’ispirazione arriva e a qualsiasi ora tu voglia registrare. Tecnicamente uso vari  microfoni  di alta qualità, i tipici che si trovano negli studi professionali, come Neumann, Akg, Sennheiser, ho due schede di grande qualità Metrichalo ULN8, outboard analogici vari. Io curo le riprese del suono e anche l’organizzazione di come procedere, ho imparato dalle produzioni con Alan Goldberg, con Beppe Quirici e molto da Stefano Melone che è il mio Maestro in assoluto riguardo tutti i consigli sia tecnici che artistici. Il confronto con lui è sacro, lavoro con lui da moltissimi anni, quasi trenta, ha mixato quasi tutti i miei ultimi sette album. Mi consiglio anche con Franco Parravicini, lui mi da le dritte per certi musicisti interessanti.

F.B. – Le tue arpe, oltre essere degli straordinari strumenti musicali, sono amplificate in modo eccellente: che cosa usa dal vivo? In studio usi gli stessi materiali?

V.Z. – Dal vivo uso un mixer Allen&Heath e un effetto di marca Lexicon, fin dagli anni Ottanta hanno data una caratteristica al mio suono live che continua con i nuovi modelli: l’arpa è divisa in tre parti, acuti medi e bassi. Sono arpe italiane Salvi, si trovano tranquillamente in commercio, precisamente due modelli: uno è l’Egan e l’altro Livia. Quest’ultimo è stato  rinforzato perché ha tutte le corde in metallo. L’altra particolarità è che possono suonare sia acustiche che amplificate, hanno un pick-up per ciascuna corda e in aggiunta un pick-up Shertler che dà un suono totale più acustico… e il resto lo fanno le mani e la tecnica, mentre in studio oltre alle dirette uso dei microfoni che danno aria  e un suono generalmente più acustico.

F.B. Relativamente alla tua musica più volte hai espresso il concetto di osservare il divenire lasciando fluire: c’è tensione in questo o ti ritrovi in uno stato di grazia mentre componi?

V.Z. – Scrivere musica e quello che più amo fare, non so se è uno stato di grazia, ma so che mi rende psicologicamente stabile in un certo senso mi accorda con il mondo, mi appaga e mi rende sereno; non valuto mai il lavoro, lo lascio fluire e cerco di non giudicarlo lo ascolto e basta. Cosi si manifesta  quel senso di divenire  e se poi non c’è tensione tutto è meravigliosamente creativo, come lo sbocciare di un fiore semplice e reale.

 

F.B. – Avevamo trovato Infinito quasi un punto d’arrivo per la tua musica. Difficile far meglio, ma in questo album sei riuscito, se ci passi il paragone atletico, ad alzare l’asticella. Dove ti porterà ancora il tuo viaggio musicale?

V.Z. – Grazie del bellissimo complimento! Infinito è stato un viaggio nel tempo, contornato dagli elementi, un progetto che avevo in serbo da molti anni di realizzare, non era facile trattare le stagioni, ma sentivo dove andare. In Metamorphose sono ritornato nella mia seconda identità musicale quella più arpistica, volevo avvicinarmi ad album tipici del mio stile, che è riconoscibile da più di trent’anni, come Kerygma o la  Via  o Talismano, quel tipo di tematicità melodica e ritmica che è presente da sempre nella mia musica e nel modo di usare l’arpa: un marchio di fabbrica che so riconoscibile. Nel frattempo sto già preparando un nuovo album che sarà molto originale, ma questa è la prossima puntata.

F.B. – Alcuni tuoi detrattori (pochi per la verità) vedono la tua musica lontana dalla realtà, ti vorrebbero un po’ più sanguigno… ti vedresti in chiave rock? Magari folk-metal?

V.Z. – Sono sicuro che nessun musicista può piacere a tutti in modo incondizionato e la realtà è una cosa soggettiva, continua a cambiare nel giro di pochi anni, si può catapultare su qualsiasi cosa. Per esempio se qualcuno mi avesse detto  qualche anno fa che avrei acquistato per usarli  tre Moog Mother 32 e un Theremin moog gli avrei riso in faccia, invece eccomi qui a sondare altre dimensioni sonore, da me ci si può aspettare  cose imprevedibili e la realtà che si muove intorno a me a volte la afferro e mi trascina in luoghi inaspettati. Non mi ha mai affascinato fare qualcosa di forzato per incontrare il favore del pubblico, se è accaduto e stato del tutto naturale, uno deve occupare il suo spazio naturalmente e in sincronia con la sua essenza, se no si crea un sacco di problemi, io porto ciò che amo, con onesta e amore.

F.B. – Ma non mangi mai pesante, non hai mai un incubo di notte?

V.Z. – Sì succede: l’incubo notturno è quando qualcosa non funziona tra me e me!

F.B. – Negli ultimi tempi sono usciti alcuni dischi che, pur nella loro diversità, sembrano avere una comune direzione, forse inconscia. Sto pensando a Lino Cannavacciuolo, al Solis String Quartet, al Cameristico di Riccardo Tesi: compositori contemporanei, con una profonda conoscenza musicale, che amano le musiche della tradizione popolare e le citano, ma al tempo stesso dichiarano il profondo amore per le grandi scuole musicali italiane del passato. Secondo te siamo di fronte a una sorta di nuova via, molto italiana e decisamente interessante, che sta emergendo?

V.Z. – La nostra generazione ha vissuto per cosi dire molte vite e direzioni  artistiche,  non in una semplice evoluzione temporale, ma in un senso profondo di mutamento, attraverso le ideologie sociali politiche di costume anche alla ricerca di un’affermazione personale, e di uno spazio nostro musicale; credo che questa ricerca  abbia portato ad avere un retroterra, un background originale che affiora in modo sintetico. Il nostro patrimonio collettivo è carico  di storia, dal rock al folk, alla canzone d’autore, alla musica classica. Nel mio caso mi trovo a percorrere idee  un po’ fuori  dal meccanismo di consumo, ma ne sono cosciente, so che esiste un modo di fare musica  nuovo che continua la ricerca al di la di tutte le etichette, perché alla fine la cosa importante è essere un musicista del proprio tempo e vivere creativamente la propria arte, non creare delle ricette, ma continuare ad avanzare ricercando, perché è bello e vivo. Dopo tutti questi anni sai cosa ti fa vibrare. Un ultimo lavoro che trovo interessante è stato quello con una formazione molto curiosa, ma piena di identità artistica con Daniele Di Bonaventura al bandoneon, Carlo La Manna al contrabbasso e il sottoscritto all’arpa celtica, tocchiamo molte vite musicali, ma è tutto naturale, c’è un forte bisogno di un altra musica meno estetica e superficiale che dialoghi con l’anima.

 

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Fondato nel 1980 da Paolo Nuti e pubblicato regolarmente a partire dal 1980 (anche se il suo primo numero reca la data novembre 1979) Folk Bulletin è la più consolidata fra le testate italiane che si occupano di folk, di spettacolo popolare e di culture tradizionali, e una delle più storiche del mondo. Muove i suoi primi passi per iniziativa di Gian Paolo Nuti come circolare interna di un gruppo di appassionati riuniti in associazione, il Folk Studio Group di Saronno, svolgendo questa preziosa funzione per alcuni anni. È comunque negli anni Novanta, dopo la fusione con lo STRAbollettino, altra testata mensile attiva dal 1984, che Folk Bulletin si afferma definitivamente su scala nazionale e internazionale come il mensile del folk in Italia. Per saperne di più…

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Gino Granata dice

    23 Marzo 2017 alle 18:06

    Un’interessante ed esauriente intervista a Vincenzo Zitello il più grande arpista italiano, pioniere dell’Arpa Celtica in Italia, condotta magnificamente da Andrea Del Favero, un grande esperto della tradizione popolare.

    Se posso permettermi, giovedì 6 aprile Vincenzo Zitello sarà ospite live ad An Triskell Radio Città Bollate FM.101.7, Live stream antriskell.altervista.org/23-mar-2017/
    Gino Granata

    Rispondi
    • Redazione-FB dice

      23 Marzo 2017 alle 18:13

      Certo che puoi permetterti, Gino! A patto che leggiate in diretta l’intera intervista… a parte gli scherzi, grazie per la considerazione. Al di là di tutto, credo che sia Vincenzo che io prima di tutti siamo coinvolti in questa musica con amore. Andrea

      Rispondi

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