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Gli strumenti del freddo nord – La nyckelharpa

23 Novembre 2010 di Redazione-FB Lascia un commento

Siamo arrivati alla fine di un lungo percorso di approfondimento sulle qualità, sulla storia, sul passato e sul presente della nyckelharpa; uno strumento musicale fascinoso, a volte apparentemente magico, capace di strappare non solo ai neofiti, ma anche a chi è abituato alle stranezze e alle magie dello smisurato strumentario del mondo della musica tradizionale, esclamazioni di meraviglia per i suoni, per la struttura così apparentemente arcaica dello strumento. Siamo arrivati alla conclusione passando attraverso frammenti storici e organologici, attraverso gli aneddoti magici, attraverso le interviste agli interpreti.

A questo punto non rimane che raccontare qualcosa su uno dei protagonisti di questa storia. Eric Sahlström (1912-1986) ha dedicato una buona parte della sua vita a suonare e a costruire nyckelharpe, a sperimentare e a inventare modelli nuovi che sono diventati punti di riferimento per gli altri liutai, a tramandare le tecniche esecutive e quelle costruttive. E’ grazie a lui che si può affermare oggi, con certezza, che la nyckelharpa è uscita dall’elenco degli strumenti musicali destinati all’estinzione.
E con chi discuterne, se non con un etnomusicologo svedese e un rappresentante dell’Istituto Nazionale di musica popolare svedese “Eric Sahlström Institutet”?
L’istituto è stato fondato nel 1997 a Tobo, in Svezia, con la finalità di sostenere la musica, la danza e la canzone popolare svedese. E Tobo non è un paese a caso. L’istituto, all’interno di uno stabile della fine del XIX secolo, è proprio vicino al villaggio in cui visse Eric Sahlström…
L’occasione per questa breve chiacchierata con Esbjörn Hogmark (musicista, liutaio, fondatore e membro del comitato scientifico dell’“Eric Sahlström Institutet”) e Per-Ulf Allmo (etnomusicologo e ricercatore dell’Università di Stoccolma) è una conferenza sulla nyckelharpa che si è tenuta a Forlimpopoli grazie alla locale Scuola di Musica popolare.


Intervista a cura di Tiziano Menduto

Traduzione a cura di Marco Ambrosini

Diamo per scontato che i nostri lettori sappiano già cos’è una nyckelharpa e cominciamo a parlare di Eric Sahlström…

Quella di Eric Sahlström è una tradizione familiare. Sia il padre che il nonno erano già suonatori di nyckelharpa. Lui è nato proprio in una famiglia di nyckelharpisti. Ma in fondo, a quel tempo, non era inusuale suonare la nyckelharpa.

La famiglia viveva in una piccola casa, in una zona di estrazione e di lavorazione del metallo. Suo padre era un contadino, aveva una piccola casa, aveva un cavallo,…Vivevano in parte dei prodotti della loro terra, ma per sopravvivere e far sopravvivere la famiglia il padre era obbligato, due o tre giorni alla settimana, a lavorare anche nell’industria metallurgica. Allora questo tipo di industria funzionava molto bene e, anche negli anni della recessione, permetteva un tenore di vita abbastanza agiato, una situazione tranquilla e non di povertà.
Torniamo alla famiglia. La famiglia di Eric era formata da tre fratelli. Il più vecchio era violinista e il più giovane era nyckelharpista. Eric era il fratello di mezzo. E’ stata un infanzia felice: il padre amava veramente i figli. Non li ha mai picchiati, avevano una libertà assoluta, potevano fare tutto quello che volevano.
Il primo strumento che Eric ha iniziato a suonare era il violino; praticamente ha preso il violino del fratello del padre e, mentre questo era fuori a lavorare nei campi, ha iniziato a suonare per conto suo. Poi ha cominciato a suonare anche l’organetto diatonico. Si è dedicato a questi due strumenti per molti anni: si racconta che ogni minuto libero che aveva lo passava a suonare. Era fissato con la musica. Ad un certo punto ha cominciato a metter le mani sulla nyckelharpa di suo nonno: una silverbasharpa.
Insomma ha iniziato a suonare la nyckelharpa all’età di 17 anni e dopo i venticinque anni ha già cominciato a costruire e a sperimentare nuovi tipi di nyckelharpe e a pensare a quella cromatica.
Ma non ha mai dimenticato la silverbasharpa.
A Uppsala era molto conosciuto per le sue qualità di esecutore: era un grandissimo musicista, come si può sentire ancora oggi attraverso le registrazioni. In fondo, a parte lavorare nei campi, lui non ha mai fatto altro nella vita che suonare. Dedicavo allo strumento ogni momento.
Ma ad un certo punto ha costruito una nyckelharpa nuova, uno strumento che ha conservato per tutto il resto della sua vita. Era uno strumento di così grande qualità che avrebbe ben figurato in qualsiasi concorso di liuteria. Ci sono addirittura degli articoli degli anni quaranta che arrivavano a dire che forse era il suono, il timbro della sua nyckelharpa a muovere le masse, non le sue abilità tecniche. Ma in realtà sulla sua bravura non ci sono dubbi. In Svezia c’erano diversi concorsi per musicisti e una volta ho chiesto a Eric, poco prima che morisse: “Hai mai preso parte ad un concorso dove non hai vinto?”. Ed Eric mi ha risposto: “No, no!”. Li aveva vinti tutti.

Lo strumento che lui ha costruito è uno strumento che ha fatto da modello per molti musicisti e liutai. Quale era il suo segreto, la sua principale qualità come liutaio?

Eric ha cambiato la concezione dello strumento. Venendo dal violino e dall’organetto diatonico, due strumenti tipicamente melodici, quando ha preso in mano la nyckelharpa ha cercato di trasporre la sua idea musicale melodica su uno strumento che fino a quel momento veniva suonato quasi solo ritmicamente. Perché la vecchia silverbasharpa era uno strumento a bordone che veniva più che altro utilizzato come strumento ritmico, ad esempio nel ballo. Lui ha cambiato la concezione dello strumento, lo ha creato quasi ex novo pensandolo come uno strumento di melodia. E’ stato il primo.

Durante la conferenza si diceva che un buon costruttore di nyckelharpe, deve essere anche un buon musicista. Questa è una cosa molto diffusa in Svezia?
Non tutti i liutai suonano. Ma quasi tutti i migliori liutai sono tuttavia anche musicisti. E la cosa vale anche per il violino.

Non sempre tra i liutai c’è il desiderio di condividere la propria arte e le proprie conoscenze con altri. In certi casi questa difficoltà è alla base della fine di uno strumento. Perché questa difficoltà non sembra essere presente in Svezia?

Il fatto che questi liutai siano disposti a condividere le loro conoscenze dipende dall’eredità che ha lasciato Eric. Lui era una persona che divideva tutto quello che aveva, che si trattasse del cibo o della musica. Lasciava sempre un posto libero vicino a sé.

Comunque questo atteggiamento da noi è abbastanza normale: se un musicista dovesse fare come certi liutai che tengono tutto per sé, non andrebbe mai su un palco a farsi ascoltare. Di cosa vivrebbe allora?

Parliamo ora dell’Istituto Nazionale di musica popolare svedese “Eric Sahlström Institutet”, che si trova a Tobo in Svezia… Quando è nato e come si è sviluppato nel tempo?

Il folklore comprende diverse attività, dalla musica alla danza, alla costruzione di strumenti, il cantare, il fare costumi. Sono tutte cose legate alla tradizione popolare.

E ci sono diverse organizzazioni che si occupano dei vari aspetti della cultura popolare. Un’organizzazione nazionale per i costruttori di violino, per chi fa costumi, per i danzatori. Tutte queste associazioni fino a un po’ di tempo fa erano separate e concorrenti nel raggranellare quei pochi soldi che arrivano dal ministero in Svezia. Noi pensavamo che se si fossero unite, avrebbero avuto la possibilità di fare molto di più. Quindi si è chiesto alle diverse organizzazioni di unirsi e questo è successo in un momento in cui il Ministro della Cultura aveva appena mandato fuori un questionario in cui si chiedeva alla popolazione come preferissero spendere i soldi dedicati alla cultura. Un questionario che era arrivato a tutti, alle scuole, alle istituzioni, alle persone: si chiedeva che cosa si volesse ascoltare e vedere.
A questo punto noi abbiamo creato una lista di idee, di punti che riunissero tutti gli aspetti della cultura popolare artistica sotto un unico tetto. Abbiamo parlato con i politici. Abbiamo fatto delle proposte e i politici hanno fatto proposte al governo. E’ stato un lavoro di lobby, nel questionario molti volevano proporre le proprie idee. Ma noi abbiamo cercato di portare tutti i finanziamenti sotto uno stesso tetto: l’”Eric Sahlström Institutet”. Ed è stata una scelta vincente.
Noi oggi viviamo da una parte di finanziamenti statali e dall’altra parte di quanto portano i partecipanti ai corsi. Quest’anno è stato il primo anno che non abbiamo avuto un numero sufficiente di partecipanti per il corso di lunga durata: gente che vive lì per nove mesi senza fare altro che non seguire i corsi. Abbiamo tre diversi tipi di corsi: gli stage estivi, i corsi a lunga distanza con gente che studia in tutto il mondo e viene lì per brevi corsi e i corsi residenziali. Abbiamo dovuto anche ridurre del 60% l’organico dell’Istituto proprio per questi corsi che non sono partiti.

Come sono ripartiti i finanziamenti?

I soldi spesi per l’istituto sono, intanto, spese fisse per conservare, far funzionare l’edificio. Poi ci sono le spese relative alle attività culturali, alle ricerche. Noi abbiamo un finanziamento ogni anno per queste cose, ma non possiamo utilizzarlo per la manutenzione. Poi ci sono i soldi per pagare lo staff, gli insegnanti, ma se non abbiamo il corso annuale non abbiamo i soldi dello Stato (Ministero dell’Educazione) e non possiamo pagarli.
Il problema è che le persone che lavorano nei progetti pagati dal Ministero della Cultura non sono interni all’Istituto. Interni sono i docenti che però, ora, sarà difficile pagare. E tra l’altro una buona parte dei progetti pagati sono progetti esterni che vedono la nostra collaborazione, ma niente di più. A volte si pensa che sia l’Istituto a fare tutto, ma in realtà spesso siamo noi a tenere le fila di tutto quanto accade, ma non ne siamo sempre i protagonisti.

Il festival di Falun non c’è più. Mi pare che la crisi relativa ai finanziamenti abbia dunque toccato anche la Svezia… Pensate che l’Istituto stia rischiando di scomparire se le cose non cambieranno…

Noi non ci aspettiamo che il governo cambi le sue decisioni. Non abbiamo problemi di esistenza. Quando abbiamo iniziato, abbiamo avuto una grande finanziamento privato prima dell’arrivo dei finanziamenti statali che ci ha permesso di comprare gli edifici dell’Istituto e mi minimizzare il più possibile i costi di esercizio dell’Istituto. Pensiamo di riuscire a sopravvivere anche se le cose non cambieranno.

In un’intervista fatta in passato a dei rappresentanti della radio svedese, si diceva che in Svezia le persone possono anche non conoscere la tradizione, ma sono disposti a pagare affinchè qualcuno la conservi e la studi…

Sì, è vero. Vale per la Svezia e, ad esempio, anche per la Finlandia. Tuttavia riguardo a quello che dicevi di Falun, il problema è che loro hanno esagerato: hanno bruciato più di 300.000 euro annuali invitando gruppi dalla Russia di 40, di 50 persone dove solo le spese di viaggio consumavano il budget complessivo. Un conto è usarli i soldi, un conto è bruciarli. Ad un certo punto gli sponsor si sono tirati indietro.

Come secondo voi è possibile salvare un festival quando ci sono problemi di fondi, di budget?

Un modo per salvare la tradizione dei festival c’è.
Ad esempio vicino all’Istituto c’era un festival che era un grande meeting di nyckelharpisti e lo organizzava un associazione di danzatori. Ad un certo punto per motivi vari hanno deciso di non organizzarlo più e lo abbiamo preso in mano noi. Loro lo organizzavano lavorandoci in 250 persone, noi lo abbiamo fatto in quattro. Come abbiamo fatto? Abbiamo telefonato ai musicisti, agli artisti. Abbiamo fatto capire che il festival rischiava di non esserci più, che non c’erano più i soldi. Abbiamo detto che noi ci saremmo messi d’accordo con i politici locali, che avremmo organizzato la logistica, loro dovevano venire qua e aut organizzarsi. Autorganizzarsi nella vendita dei biglietti, nella scelta delle date e dei posti in cui suonare. In questo modo un festival può sopravvivere…

Eric Sahlström Institutet
Bruksgatan 3 S-748 50 Tobo Svezia

Direttore: Michael Näslund
Indirizzo web: www.esitobo.org

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Fondato nel 1980 da Paolo Nuti e pubblicato regolarmente a partire dal 1980 (anche se il suo primo numero reca la data novembre 1979) Folk Bulletin è la più consolidata fra le testate italiane che si occupano di folk, di spettacolo popolare e di culture tradizionali, e una delle più storiche del mondo. Muove i suoi primi passi per iniziativa di Gian Paolo Nuti come circolare interna di un gruppo di appassionati riuniti in associazione, il Folk Studio Group di Saronno, svolgendo questa preziosa funzione per alcuni anni. È comunque negli anni Novanta, dopo la fusione con lo STRAbollettino, altra testata mensile attiva dal 1984, che Folk Bulletin si afferma definitivamente su scala nazionale e internazionale come il mensile del folk in Italia. Per saperne di più…

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