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Cesare Bermani, Bella Ciao. Storia e fortuna di una canzone, Novara, Interlinea, 2020

13 Ottobre 2020 di Redazione-FB 2 commenti

di Tito Saffioti

Bermani Bella Ciao

Sicuramente non finiranno qui. Le ricerche di Cesare Bermani (e di altri valenti ricercatori come lui) intorno alle origini e all’evoluzione della celebre canzone non finiranno qui. Perché la storia di un canto popolare è fatta di infinite variazioni, contaminazioni, commistioni ecc. ecc.
Questo, perlomeno, avveniva fino all’invenzione del nastro magnetico, perché dopo di allora la registrazione finiva col cristallizzare in maniera più o meno definitiva la forma di una canzone, sia nella sua componente testuale sia in quella musicale. E addio trasmissione orale!
Occorre comunque ammettere che la storia di Bella Ciao è particolarmente complessa, forse anche perché la sua formazione verso il modello che noi oggi riconosciamo come definitivo, è avvenuta in anni che si ponevano al termine della guerra più sanguinosa della storia dell’umanità. Un’epoca feroce, fatta di contrapposizioni forti e di odi ancora non sopiti.
Ricostruire oggi, a distanza di poco meno di un secolo (ma, naturalmente, come sempre succede quando di parla di tradizione popolare, con origini assai più antiche) da quei tragici avvenimenti, significa confrontarsi con ricordi dei testimoni spesso fumosi e diafanizzati dal trascorrere del tempo.
Bermani ha dedicato a questa ricerca numerosi interventi e ora con questo piccolo, ma prezioso libretto cerca di fare il punto della situazione correggendo imprecisioni e aggiungendo informazioni raccolte da nuove testimonianze e da nuovi documenti.
C’è ora da domandarsi: ha raggiunto il suo scopo? È riuscito a tracciare la genealogia del canto in maniera univoca e soddisfaente? No, perché questo obiettivo è realisticamente impossibile da ottenere. Sì, perché lo scopo di chi fa ricerca è quello di aggiungere conoscenza verificata a quanto già si sa. Ogni granello di sapienza è un gradino verso il cielo, che è sempre lassù, irraggiungibile e meraviglioso, ma in grado di riflettere su di noi la sua piccola luce.

Per informazioni: www.interlinea.com

Per contatti:

edizioni@interlinea.com

 

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Folk Bulletin

Fondato nel 1980 da Paolo Nuti e pubblicato regolarmente a partire dal 1980 (anche se il suo primo numero reca la data novembre 1979) Folk Bulletin è la più consolidata fra le testate italiane che si occupano di folk, di spettacolo popolare e di culture tradizionali, e una delle più storiche del mondo. Muove i suoi primi passi per iniziativa di Gian Paolo Nuti come circolare interna di un gruppo di appassionati riuniti in associazione, il Folk Studio Group di Saronno, svolgendo questa preziosa funzione per alcuni anni. È comunque negli anni Novanta, dopo la fusione con lo STRAbollettino, altra testata mensile attiva dal 1984, che Folk Bulletin si afferma definitivamente su scala nazionale e internazionale come il mensile del folk in Italia. Per saperne di più…

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Commenti

  1. Ernesto Scura dice

    21 Giugno 2023 alle 08:43

    Caro Bermani,
    quando canta bella ciao, e la canta, arrivato al
    passaggio cruciale “ mi sento di morire” che
    fa, sta muto o pronuncia quel gioiellino fior di
    grammatica? La sua superiorità culturale vibra?
    Intanto legga e se ha qualcosa da dire, o da
    ridire, o da … ridere, sa dove trovarmi. Grazie
    per l’attenzione
    Ernesto Scura
    (novantenne ingegnere calabrese di etnia arbëresh)

     BELLA CIAO, INNO ALLE IDIOZIE
    di Ernesto Scura
    
    “Bella Ciao”, non solo non venne mai
    cantata dai partigiani ma, addirittura,
    l’attuale testo, come noi lo conosciamo, fu
    adattato sulle note di una vecchia canzone
    che descriveva il duro lavoro delle mondine
    curve nelle risaie. Non solo le note, ma
    anche il ritornello “o bella ciao” fu adottato
    pari pari, tanto per completare il plagio,
    dando così, almeno, un tocco di orecchiabilità
    alla porzione innovativa di quel testo colmo
    di strafalcioni. Dunque, “Bella Ciao”, nella
    versione partigiana, fu un arrangiamento di
    un canto di sofferenza per farne un maldestro
    “Inno di Guerra”, anche se quelli che oggi
    l’intonano, vogliono ipocritamente spacciarlo
    per ”Inno di Pace”. Ecco, “Bella Ciao” è l’inno
    postumo all’eroismo e alla lotta combattuta non
    per la libertà ma per il trionfo del comunismo.
    Giorgio Bocca, di cui nessuno può negare la
    correttezza morale e la sua partecipazione attiva
    alle fasi più pericolose di quella guerra partigiana
    disse: “L’unica cosa certa é che nei venti mesi di
    guerra partigiana non l’ho «mai sentita cantare»
    (e pure gliela suonarono al suo funerale). Della
    prima volta che fu cantata abbiamo un dato certo:
    fu al congresso della Gioventù Comunista Mondiale
    (e si ostinano a dire che non è un inno comunista),
    tenutosi a Praga, nel 1947, quindi a guerra ormai
    finita da due anni, intonata, a squarciagola, dai
    membri della delegazione italiana, composta tutta,
    esclusivamente, di giovani comunisti iscritti alla
    FGCI, nessuno dei quali aveva partecipato alla
    guerra di Resistenza. Fu lanciata con l’attuale
    sgrammaticato testo di cui vi offriamo in’impietosa
    “dissezione anatomica”.

    IDIOZIE E SGRAMMATICATURE DI “BELLA CIAO”

    – MI SENTO DI MORIRE (cioè “voglio morire”. Più fessi di così?)
    -SOTTO L’OMBRA DI UN BEL FIORE (Per quanto bello possa
    essere ditemi che ombra può fare un solo fiore?)
    -TUTTE LE GENTI CHE PASSERANNO. LE GENTI ? (remoto
    ottocentesco richiamo foscoliano ormai obsoleto e in disuso)
    -Tutta l’invocazioe è rivolta ad una BELLA (ciao) però l’invito
    a portarlo via perché si sente “di” morire é rivolto, si presume,
    dalla BELLA ad un partigiano (non bello ma maschio).
    -Ma l’invito a seppellirlo torna ad essere rivolto alla Bella che,
    cerchiamo di immaginarla, con in spalla il partigiano morente,
    s’inerpica per i dirupi scoscesi per seppellirlo su in montagna .
    Ma si può essere più scemi e più scombinati di così ?
    E pensare che ce lo vogliono imporre, per decreto, come
    INNO NAZIONALE DELLA REPUBBLICA (delle banane).
    GRAMMATICA:

    sentirsi regge l’infinito senza preposizione; quindi,
    è un errore dire: mi sento di morire; più correttamente
    si deve dire mi sento morire.
    Ernesto Scura

    P.S.
    NON MI DEVE NULLA PER LA LEZIONE. È TUTTO GRATIS.
    MI BASTA CHE LA DIVULGHI TRA I RANGHI DELLA SUA
    DISASTRATA SINISTRA.

    Rispondi
    • Redazione-FB dice

      4 Settembre 2023 alle 10:54

      Ci scusi, ing. Ernesto, dall’alto della sua superiorità intelletuale sulla disastrata sinistra, Lei ha letto il libro di Bermani?

      Rispondi

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